Mi alzo ogni mattina con addosso il pensiero di morire. Ma non
mi fraintendere, non ho mai avuto intenzione di togliermi la vita, che mi è
così preziosa, unica vera compagna delle mie giornate. Mi metto sulle stecche
delle gambe, quelle di legno, che quelle di ossa non mi reggono più ormai. È quasi
ora, lo so. Ma per la miseria se non ho rimpianti! Me la sono proprio bevuta
questa vita, ma non come i pittori che hanno occupato le strade e stanno su a
forza di pennellate e assenzio. Ah quante ne ho viste François, quanti ne ho
visti camminare per strade, trascinarsi. Come quel Vincent, quel claudicante
geniale. Tutti dicevano che era pazzo, sai? Ma non lo era per quel che ho visto
io, ed era molto poco a dire la verità. Però ti parlo con la bocca dell’esperienza
e ti dico che non era affatto tocco, no no, era solo uno dal pessimo carattere,
uno che della sua sensibilità faceva una croce da sopportare. In definitiva uno
che si piangeva addosso, che odiava tutti perché nessuno aveva mai avuto la
forza di amarlo. Ma quante scuse François, che due donne lo hanno amato davvero
e lui se l’è scrollate dalle spalle aguzze per via della sua droga preferita: la
pittura. E allora, che non mi venisse a raccontare che nessuno era in grado di
amarlo o aveva voluto farlo, era lui che scappava, sempre, da tutti, odiandoli.
E non era sensibile, no no, te lo dico io, era nauseato. Tutto
gli veniva a rigetto, persino se stesso, soprattutto se stesso, incapace di
trovare un’identità radicata nel presente, lui che era stato prete, contadino,
predicatore e tanto altro, ma senza esserlo veramente.
Ti starai chiedendo perché sulla soglia della mia vita io
perda tempo parlando di lui, be’ ti dico la verità, sarà anche stato un demonio
d’uomo ma pure lui ne ha combinate parecchie. La sua vita è interessante ai
miei occhi centenari che oramai sono ciechi. Non ti scrivo con la mani
François, faccio come faceva Vincent, trovo espedienti, uso tutto quello che ho
e mi consumo: lui dipingeva con le dita, io con la mente. Ti scrivo con la
mente, François, e lo faccio perché per quanto io ti abbia odiato, ti ho anche
amato. Non sei l’uomo migliore e neanche quello giusto, sei l’Uomo. Punto. Come
Vincent era Vincent. Uno solo e irripetibile, e lasciatelo dire, meno male
anche.
Alcune volte penso a te e a cosa hai potuto pensare trovando
la mia porta sbarrata.
E’ passato così tanto tempo. E’ passata anche la tua vita.
Tu che tornavi sempre da me con mille promesse, e che non
potevi fare a meno di andare con le altre donne. Tu che mi amavi, che amavi la
tua vanità molto più di me o di te stesso, per aver il coraggio di scoprire che
tipo di uomo saresti potuto diventare. Ma si sa, quelli erano tempi ingrati, di
vizi e giorni brevi.
Io rimanevo, con quella porta socchiusa ad attendere il tuo
ritorno, e un giorno, basta.
Non sono andata via
per un altro uomo, quello m’ha trovato molto dopo. No, sono andata via per il
sangue, quello che mi facevi perdere dal cuore ogni volta che andavi via. Mi davi
un poco d’amore, mi affidavi i tuoi sogni e poi andavi ad affondare dentro
qualcuno per la paura di realizzarli.
E allora un giorno mi sono svegliata, ho messo le cose nel
baule, non ho neanche pensato a lungo, ho solo agito. Ho chiuso la porta.
E chissà che faccia hai fatto. Chissà se hai gridato il mio
nome. Se hai compreso i tuoi errori. Ma non ti ho lasciato recapiti, non ti ho
sparso briciole come una donnina bisognosa di essere trovata, non ti ho
sventolato fazzoletti come una abituata a far cadere gli uomini ai suoi piedi. Ho
preso una carrozza e sono scomparsa.
Sai qual era l’alternativa? Morire annegata come la povera
Sein, la prostituta salvata da Vincent e poi abbandonata. E quanto mi s’è
stretto il cuore per lei mentre cullavo ogni tanto la decisione di lasciarti.
E chissà che fine hai fatto François.
Di certo so che vita ho fatto io, quante cose ho potuto
vedere, a ottant’anni suonati e cantati, avresti riso nel vedermi sulla mia
bicicletta, imperterrita e bizzosa come un cavallo cocciuto e ribelle.
Mi avevi amata anche per quello. Hai tirato la corda. L’hai
spezzata. Io me ne sono andata.
E sono salita sulla mia vita. Jeanne, pluricentenaria, dalle
idee bizzarre, dalla lingua biforcuta.
Sono una strega. E mi trovo a pensare che io e Vincent ci
saremmo divertiti, lui a nausearsi di me e io a ridergli in faccia. Anche quello
sarebbe stato amore. Ciò di cui aveva bisogno non era una donna, un amore, ma
amicizia, pura, semplice, incondizionata, come quella che cercava da suo
fratello, ma non ha mai avuto.
Ecco, io credo che saremmo stati buoni amici.
Ma non essere geloso François, né delll’amicizia, né dell’amore.
Perché sono tua come non lo sarò mai di nessun altro.
Oggi mi hanno chiesto come vedevo il mio futuro. Ho risposto:
molto breve.
Per la miseria, ho centoventuno anni, per quanti ancora si
aspettano che io possa trascinarmi? Sono storpia e cieca e muoio dalla voglia
di fumare da una ventina d’anni ormai. Ma mica lo chiedo se mi accendono una
sigaretta, col cavolo, sono Jeanne io, quella che le cose le ha fatte tutte da
sola!
Chissà se in paradiso ci saranno sigarette…
Penso di sì, e come sarà felice Vincent, che non poteva
permettersi che una pipa. E per inciso, secondo me odiava pure quella.