lunedì 20 agosto 2012

Sun

E poi si cade. Inevitabilmente, prima o poi si cade. Dalle scale, dal tetto, dalla vita. O da una sedia.
Si contano le ossa, i lividi i graffi.
Ci si guarda intorno e ci si sdraia a terra, braccia stese, palmi all’insù.
Si guarda il soffitto: bianco.
Si aspetta qualcosa, il silenzio, qualcuno che ti tiri su, il coraggio di tirarti su, o le mani dell’amore che si intrecciano con le tue.
Si guarda il sole, forte, fortissimo, che così non te lo dimentichi.
Poi si torna a guardare il soffitto.
Si chiudono gli occhi. E si vede un sole verde, blu, tendente all’arcobaleno (questo lo aggiungo perché amo gli arcobaleni).
Lo si guarda così il sole, perché farlo direttamente vorrebbe dire perderci la vista.
Lo si vede ballare, o passare con la scia incorporata.
Poi si stringono i pugni e si fa una smorfia perché uno tenta pure di rialzarsi, ma niente, fa male.
Fa male cadere. Fa male rialzarsi.
Ma una cosa rimane: quel sole, quel sole che se non può riscaldarti la pelle, almeno tiene al caldo i pensieri.

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