-E vidi, vidi che era morte intensa, era di quella vita che
si accumula nella bocca dello stomaco. Morsa e macigno da portare giù lo
spirito, espellerlo dal corpo e le membra, fantoccio in balia del male. E non
era male d’immaginario collettivo o tradizione religiosa. Era il mare dentro.
Marea vischiosa di cemento appena gettato.
Vaso di Pandora che non lascia dentro la speranza, ma apre
un varco in fondo al vaso, un buco e niente fuoriesce, diviene gorgo, bocca che
vomita buio. -
Noi, spettatori avvinti da una coperta gelida, lasciata
fuori nelle notti sotto zero d’amore. Lasciati inebetiti di fronte a verità che
in fondo son ben visibili, ma nascoste bene da noi stessi. Noi che non possiamo
non porci domande scomode. Oppure scegliamo di seppellire tutto, e le nostre
certezze però diventano illusioni che segretamente conosciamo, che
coscientemente rifiutiamo. Ma è tutto inutile, ormai sappiamo. Sappiamo. Non si
torna indietro.
Si può cadere a fondo, senza più avere la forza di
rialzarsi, come un finale aperto che perde la sua natura. Può un finale non
essere fine? Sì, può. E non dobbiamo sconvolgerci neanche. Se ci pensiamo,
Haneke non fa altro che aprire porte che la vita lascia spalancate o socchiuse.
Ma che stanno, stanno lì, con i loro misteri. Questa è la vita, un mistero che
si accetta, si combatte, delira o si compatisce. E una vita così, scarna,
pulita, essenziale, ma così disperata, può essere davvero accettata a testa
bassa? Possiamo noi che vediamo, assistiamo all’amore e al dolore, alla
privazione di dignità, alla malattia e a molto altro, lasciarci travolgere solo
dal buio? Solo dall’incredulità? Lo shock è fortissimo, lo stomaco che si
contorce e il cuore che diventa davvero pesante ingigantiscono pensieri che
possono essere pericolosi. Haneke da spazio al nichilismo del corpo, dello spirito,
dell’amore, dell’insanità mentale. Haneke apre abissi interiori. E ci lascia
lì, sul ciglio di un brivido, di un’inquietudine profonda. Spetta a noi saltare
nel buio, voltarci dall’altra parte, scappare immediatamente. Osservare le
interiora della paura.
Io credo che Haneke, sebbene racconti della morte, non fa
altro che farci conoscere la Vita. Che ci piaccia o no, la Vita, quella che non
si nasconde più, che viene a galla, e dove possono anche annegare la speranza e
l’amore.
La scelta dello spettatore è la fine del film. Il finale
della pellicola lascia le porte aperte, la scelta dello spettatore di imboccare
una delle porte, è la fine. E forse, l’inizio di una nuova coscienza. Di una
nuova umanità, forse meno innocente e disillusa, ma più consapevole che se
sceglie di amare, lo sceglie dolorosamente oltre che preso dalla tenerezza e le
morbidezze che esso offre.
Nota: le suggestioni di questo post sono frutto del fil “Amour”
di Haneke.
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