giovedì 31 gennaio 2013

Grumo.


-E vidi, vidi che era morte intensa, era di quella vita che si accumula nella bocca dello stomaco. Morsa e macigno da portare giù lo spirito, espellerlo dal corpo e le membra, fantoccio in balia del male. E non era male d’immaginario collettivo o tradizione religiosa. Era il mare dentro. Marea vischiosa di cemento appena gettato.

Vaso di Pandora che non lascia dentro la speranza, ma apre un varco in fondo al vaso, un buco e niente fuoriesce, diviene gorgo, bocca che vomita buio. -

Noi, spettatori avvinti da una coperta gelida, lasciata fuori nelle notti sotto zero d’amore. Lasciati inebetiti di fronte a verità che in fondo son ben visibili, ma nascoste bene da noi stessi. Noi che non possiamo non porci domande scomode. Oppure scegliamo di seppellire tutto, e le nostre certezze però diventano illusioni che segretamente conosciamo, che coscientemente rifiutiamo. Ma è tutto inutile, ormai sappiamo. Sappiamo. Non si torna indietro.

Si può cadere a fondo, senza più avere la forza di rialzarsi, come un finale aperto che perde la sua natura. Può un finale non essere fine? Sì, può. E non dobbiamo sconvolgerci neanche. Se ci pensiamo, Haneke non fa altro che aprire porte che la vita lascia spalancate o socchiuse. Ma che stanno, stanno lì, con i loro misteri. Questa è la vita, un mistero che si accetta, si combatte, delira o si compatisce. E una vita così, scarna, pulita, essenziale, ma così disperata, può essere davvero accettata a testa bassa? Possiamo noi che vediamo, assistiamo all’amore e al dolore, alla privazione di dignità, alla malattia e a molto altro, lasciarci travolgere solo dal buio? Solo dall’incredulità? Lo shock è fortissimo, lo stomaco che si contorce e il cuore che diventa davvero pesante ingigantiscono pensieri che possono essere pericolosi. Haneke da spazio al nichilismo del corpo, dello spirito, dell’amore, dell’insanità mentale. Haneke apre abissi interiori. E ci lascia lì, sul ciglio di un brivido, di un’inquietudine profonda. Spetta a noi saltare nel buio, voltarci dall’altra parte, scappare immediatamente. Osservare le interiora della paura.

Io credo che Haneke, sebbene racconti della morte, non fa altro che farci conoscere la Vita. Che ci piaccia o no, la Vita, quella che non si nasconde più, che viene a galla, e dove possono anche annegare la speranza e l’amore.

La scelta dello spettatore è la fine del film. Il finale della pellicola lascia le porte aperte, la scelta dello spettatore di imboccare una delle porte, è la fine. E forse, l’inizio di una nuova coscienza. Di una nuova umanità, forse meno innocente e disillusa, ma più consapevole che se sceglie di amare, lo sceglie dolorosamente oltre che preso dalla tenerezza e le morbidezze che esso offre.

Nota: le suggestioni di questo post sono frutto del fil “Amour” di Haneke.

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