martedì 28 agosto 2012

Il mio amico Vincent


Mi alzo ogni mattina con addosso il pensiero di morire. Ma non mi fraintendere, non ho mai avuto intenzione di togliermi la vita, che mi è così preziosa, unica vera compagna delle mie giornate. Mi metto sulle stecche delle gambe, quelle di legno, che quelle di ossa non mi reggono più ormai. È quasi ora, lo so. Ma per la miseria se non ho rimpianti! Me la sono proprio bevuta questa vita, ma non come i pittori che hanno occupato le strade e stanno su a forza di pennellate e assenzio. Ah quante ne ho viste François, quanti ne ho visti camminare per strade, trascinarsi. Come quel Vincent, quel claudicante geniale. Tutti dicevano che era pazzo, sai? Ma non lo era per quel che ho visto io, ed era molto poco a dire la verità. Però ti parlo con la bocca dell’esperienza e ti dico che non era affatto tocco, no no, era solo uno dal pessimo carattere, uno che della sua sensibilità faceva una croce da sopportare. In definitiva uno che si piangeva addosso, che odiava tutti perché nessuno aveva mai avuto la forza di amarlo. Ma quante scuse François, che due donne lo hanno amato davvero e lui se l’è scrollate dalle spalle aguzze per via della sua droga preferita: la pittura. E allora, che non mi venisse a raccontare che nessuno era in grado di amarlo o aveva voluto farlo, era lui che scappava, sempre, da tutti, odiandoli.

E non era sensibile, no no, te lo dico io, era nauseato. Tutto gli veniva a rigetto, persino se stesso, soprattutto se stesso, incapace di trovare un’identità radicata nel presente, lui che era stato prete, contadino, predicatore e tanto altro, ma senza esserlo veramente.

Ti starai chiedendo perché sulla soglia della mia vita io perda tempo parlando di lui, be’ ti dico la verità, sarà anche stato un demonio d’uomo ma pure lui ne ha combinate parecchie. La sua vita è interessante ai miei occhi centenari che oramai sono ciechi. Non ti scrivo con la mani François, faccio come faceva Vincent, trovo espedienti, uso tutto quello che ho e mi consumo: lui dipingeva con le dita, io con la mente. Ti scrivo con la mente, François, e lo faccio perché per quanto io ti abbia odiato, ti ho anche amato.  Non sei l’uomo migliore  e neanche quello giusto, sei l’Uomo. Punto. Come Vincent era Vincent. Uno solo e irripetibile, e lasciatelo dire, meno male anche.

Alcune volte penso a te e a cosa hai potuto pensare trovando la mia porta sbarrata.

E’ passato così tanto tempo. E’ passata anche la tua vita.

Tu che tornavi sempre da me con mille promesse, e che non potevi fare a meno di andare con le altre donne. Tu che mi amavi, che amavi la tua vanità molto più di me o di te stesso, per aver il coraggio di scoprire che tipo di uomo saresti potuto diventare. Ma si sa, quelli erano tempi ingrati, di vizi e giorni brevi.

Io rimanevo, con quella porta socchiusa ad attendere il tuo ritorno, e un giorno, basta.

Non sono  andata via per un altro uomo, quello m’ha trovato molto dopo. No, sono andata via per il sangue, quello che mi facevi perdere dal cuore ogni volta che andavi via. Mi davi un poco d’amore, mi affidavi i tuoi sogni e poi andavi ad affondare dentro qualcuno per la paura di realizzarli.

E allora un giorno mi sono svegliata, ho messo le cose nel baule, non ho neanche pensato a lungo, ho solo agito. Ho chiuso la porta.

E chissà che faccia hai fatto. Chissà se hai gridato il mio nome. Se hai compreso i tuoi errori. Ma non ti ho lasciato recapiti, non ti ho sparso briciole come una donnina bisognosa di essere trovata, non ti ho sventolato fazzoletti come una abituata a far cadere gli uomini ai suoi piedi. Ho preso una carrozza e sono scomparsa.

Sai qual era l’alternativa? Morire annegata come la povera Sein, la prostituta salvata da Vincent e poi abbandonata. E quanto mi s’è stretto il cuore per lei mentre cullavo ogni tanto la decisione di lasciarti.

E chissà che fine hai fatto François.

Di certo so che vita ho fatto io, quante cose ho potuto vedere, a ottant’anni suonati e cantati, avresti riso nel vedermi sulla mia bicicletta, imperterrita e bizzosa come un cavallo cocciuto e ribelle.

Mi avevi amata anche per quello. Hai tirato la corda. L’hai spezzata. Io me ne sono andata.

E sono salita sulla mia vita. Jeanne, pluricentenaria, dalle idee bizzarre, dalla lingua biforcuta.

Sono una strega. E mi trovo a pensare che io e Vincent ci saremmo divertiti, lui a nausearsi di me e io a ridergli in faccia. Anche quello sarebbe stato amore. Ciò di cui aveva bisogno non era una donna, un amore, ma amicizia, pura, semplice, incondizionata, come quella che cercava da suo fratello, ma non ha mai avuto.

Ecco, io credo che saremmo stati buoni amici.

Ma non essere geloso François, né delll’amicizia, né dell’amore. Perché sono tua come non lo sarò mai di nessun altro.

Oggi mi hanno chiesto come vedevo il mio futuro. Ho risposto: molto breve.

Per la miseria, ho centoventuno anni, per quanti ancora si aspettano che io possa trascinarmi? Sono storpia e cieca e muoio dalla voglia di fumare da una ventina d’anni ormai. Ma mica lo chiedo se mi accendono una sigaretta, col cavolo, sono Jeanne io, quella che le cose le ha fatte tutte da sola!

Chissà se in paradiso ci saranno sigarette…

Penso di sì, e come sarà felice Vincent, che non poteva permettersi che una pipa. E per inciso, secondo me odiava pure quella.

Sì lo so, saremo buoni amici io e lui.

 

2 commenti:

  1. a me piace assai, l'ho letto due volte. *_*

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  2. Bellissimo, Miri :D

    "ti dico che non era affatto tocco, no no, era solo uno dal pessimo carattere, uno che della sua sensibilità faceva una croce da sopportare"

    ... bellissima immagine della follia ;)
    Mi piace il tono con cui questa vecchina smaliziata, conoscitrice della vita e simpaticamente strafottente parli con irriverenza di Vincent.
    Io la vorrei conoscere, ma forse la conosco già ;) (spero solo di esserci, fino a quei 121 anni insieme a lei) :D
    Brava!!!

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